La scienza dei numeri è bisex?

Aspettando l’8 marzo


LA SCIENZA DEI NUMERI È BISEX?

di Maristella Galeazzi

Per la prossima festa della donna, pubblichiamo il testo dell’intervento che Maristella Galeazzi (insegnante di Matematica e Fisica presso il Liceo “Fermi” di Cantù e docente di Analisi 1 presso il Politecnico di Milano) ha tenuto lo scorso 11 novembre  nell’ambito del Festival dell’eccellenza femminile di Genova.

Nel gennaio 2005 Lawrence Summers, allora rettore dell’Università di Harvard, sollevò una feroce polemica quando, durante una conferenza, a proposito della scarsa presenza femminile nelle cattedre universitarie delle discipline scientifiche, affermò che le donne sono biologicamente svantaggiate e che sono portate, più per natura che per condizionamenti sociali, a non investire tutte le energie nella carriera. Episodi di questo tipo, confermano il persistere di stereotipi che riguardano la donna, come appunto la scarsa attitudine femminile alla scienza, e costituiscono il fondamento di una discriminazione ancora forte.

Il rettore di Harvard con queste parole commise la stessa duplice discriminazione che riscontriamo nella nostra società: la  prima attribuendo alle donne una natura irrazionale, emotiva, parziale, soggettiva, che ha ostacolato o non ha loro creato mai opportunità. La seconda,  più indiretta e subdola, che nega alle donne il ruolo di protagoniste nella pratica del sapere, generando di conseguenza un senso di insicurezza o inibizione per cui le donne spesso non rivendicano né  ambiscono a carriere scientifiche.

In  Matematica, ad esempio, a livello scolastico, il numero di donne iscritte all’Università è pari o addirittura superiore a quello dei maschi ed esse hanno anche una resa significativamente superiore fin dalle scuole superiori, ma sembrano non emergere nei test attitudinali, anche se non si ha alcuna chiara indicazione di inferiorità o superiorità, forse sono meno competitive.

Il contributo esiguo dato dalle donne in genere nelle varie discipline, infatti, non è provocato dalle loro minori attitudini ma, piuttosto, dalla condizione femminile che, sempre, ha costituito un serio ostacolo. Per secoli le uniche donne che hanno potuto accedere all'istruzione sono state principalmente quelle rinchiuse nei conventi ed è per questo motivo che le donne che sono emerse nel passato sono soprattutto umaniste o artiste: le cosiddette scienze "dure" richiedono infatti una preparazione di base, senza la quale è quasi impossibile progredire. Da qui è probabilmente sorto il pregiudizio secondo cui le donne sarebbero più portate per le materie letterarie e linguistiche che non per quelle scientifiche.

Di che istruzione potevano usufruire le donne? Rousseau voleva la donna non istruita ma solo educata per un ruolo familiare e subordinata all’uomo in tutte le attività intellettuali. Infatti le ragazze hanno potuto accedere alla scuola solo dopo il 1850 (l’ultima scuola in cui furono accettate come studentesse era quella platonica!). Circa un secolo fa Sylvain Marechal scrisse un progetto di legge inteso a proibire alle donne di imparare a leggere e scrivere: “La Ragione vuole (anche a costo di sembrare incivile), che le donne (nubili, maritate o vedove) non ficchino mai il naso in un libro, né impugnino mai una penna”.[1]

Ancora alla fine dell’Ottocento Silvio Antoniano scrive:  “In quanto all’istruzione estesa perfino alle femmine, io non l’approvo, né so vedere quale utilità ne possa derivare alla società. Che insegnino le madri alle figliuole a filare, a cucire e ad occuparsi di esercizi donneschi. In quanto a leggere al massimo insegnino loro quanto basta per leggere i libri delle preci”. [2]

Scrive il Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli: “Bisogna insegnare solo a leggere e scrivere, bisogna istruire il popolo quanto basta (…) e ridurre tutte le scienze sotto una (…) unica materia di “nozioni varie” senza nessuna indicazione programmatica o di testi (…) rivalutando il più antico e nobile insegnamento, quello dell’educazione domestica; e mettere da parte infine l’antidogmatismo, l’educazione al dubbio e alla critica, insomma far solo leggere e scrivere e far di conto; non devono pensare altrimenti sono guai! [3] 

Qualche dato italiano: nel 1900 erano iscritte a tutte le Università del regno 250 donne. Nel 1950 le donne erano un quarto degli iscritti. Il sorpasso delle laureate nei confronti dei laureati è avvenuto, nel nostro Paese, nel 1993. Nel 2006 è donna il 58% dei laureati,e il 66% dei laureati con votazione superiore a 106/110 (dati Miur).

La Matematica è adatta alle ragazze? Vediamo anche in questo caso sprecarsi i luoghi comuni: in essi in genere la Matematica appare come un insieme di regole e tecniche da applicare rigidamente e ciecamente, mentre viene sottolineto in ogni occasione l’aspetto emotivo dell’impegno femminile. Nell’Ottocento gli uomini erano convinti che man mano che si sviluppava il cervello nelle donne, si atrofizzavano le ovaie o che le donne di genio presentassero frequentemente caratteri maschili. Inoltre la Matematica ancora oggi è considerata “arida”, si sviluppa con “ metodi piuttosto arcigni” e le donne “non logiche ma emotive” non sono adatte “a un ambiente competitivo come quello della scienza”.[4]

Gino Loria, matematico genovese, scriveva in proposito nei primi anni del secolo scorso: “Da tempo le aule delle scuole di ogni specie sono frequentate da giovinette animose ed intelligenti le quali avvertirono come il compito della donna dei tempi nostri sia ben più alto di quello assegnatole nell'epoca romana, di guardare la casa e filare la lana”.[5]

Gli fa ancora eco Francesco Severi nel 1951: ma “il cervello femminile è proprio adatto alle astruserie matematiche?”.[6]

Proviamo a rispondere analizzando le figure femminili nella Matematica. Da Ipazia a Emmy Noether notiamo delle forti analogie nella loro vita e nel loro comportamento. Innanzitutto la maggior parte di loro è stata costretta a studiare di nascosto; di nascosto dalla società, perché non potevano iscriversi nelle Università, dunque se volevano frequentarle erano costrette per esempio a vestirsi con abiti maschili; spesso di nascosto dalla famiglia, come Sophie Germain,  spesso anche di nascosto dai propri insegnanti, ricorrendo ancora e sempre a uno pseudonimo maschile.

 

Sophie Germain

 

Scrive Gaetano Fichera a proposito della Germain: “Sofia si alzava di notte per studiare la Matematica, impedita, com'era, dalla proibizione paterna di farlo durante il giorno. Accortosi di ciò, il padre le faceva sottrarre dalla servitù i vestiti, non appena ella andava a letto. Ma Sofia non si scoraggiò e, avvolta in coperte, seguitò nei suoi studi notturni. Il padre allora le fece togliere il lume. Sofia, con un piccolissimo lumino, seguitò a vegliare per soddisfare la sua grande passione. Alla fine il padre venne vinto e Sofia poté liberamente dedicarsi alla Matematica”.

Notiamo anche che una donna matematica suscitava sospetto: l'impiegato che scrisse l'atto di morte di Sophie Germain preferì qualificarla come possidente ("rentière") piuttosto che come matematica.

Viene invece sfatato un luogo comune che vuole nelle donne una vocazione alla didattica: è vero che la Chatelet dedica il libro al figlio, che il celebre trattato della Agnesi è pensato per l'educazione di un fratello, che tutta l'opera di Mary Somerville è pervasa da uno spirito altamente didattico e che la Noether si preoccupava profondamente per i suoi allievi ma, ad esempio, la Kowalevski confessò esplicitamente che non le piaceva insegnare.

 

 

Sofia Kowalevski

 

Un altro elemento, invece, che accomuna le donne matematiche della storia è l'influenza che hanno avuto sul loro valore e sulla loro produzione scientifica figure maschili di riferimento che esse ebbero a fianco. Queste figure possono essere state il padre o un fratello che ne ha incentivato l’istruzione (ad esempio il padre per l’Agnesi e la Noether, il fratello per la Herscel), personalità che sono state fondamentali nell’iniziarle a questi studi. Loria, ad esempio, attribuisce i meriti della produzione scientifica delle donne matematiche  agli  uomini con cui esse hanno lavorato [7]. L’Agnesi ha infatti avuto contatti con Ramiro Rampinelli, con Jacopo Riccati, la Germain era in relazione con Gauss, Legendre, Poisson e altri notevoli scienziati, la Kowalevski aveva un forte legame con Weierstrass, la Noether era figlia del celebre matematico Max e godeva della stima di Klein e David Hilbert. Inoltre lo stesso Loria scrive: “(…) come le donne, le quali pur lasciarono un'impronta nella storia della Geometria, dopo di avere abbracciata tale carriera con irrefrenabile ardore e con piena fiducia nelle proprie forze, abbiano poi sentito costantemente la necessità di essere sorrette e guidate da un padre, da un fratello, o da un maestro e, dopo di avere accresciuto il patrimonio intellettuale dell'umanità, con lavori di discutibile originalità, abbiano lasciati gli studi disgustate o stanche, sfiduciate od esauste?”.

 

Maria Gaetana Agnesi

 

Nel caso della Kowalevski il legame con Weierstrass fu senza dubbio profondo e stimolante per l’allieva ma, probabilmente, anche per il maestro. Felix Klein espose qualche dubbio sull'originalità delle idee della Kowalevski, dubbi ripresi anche da altri. Un altro legame stimolante è stato sicuramente quello tra Mileva Maric e il marito Albert Einstein. Si suppone infatti che Mileva abbia dato un importante contributo alle opere sulla teoria della relatività. Oggi però non è più possibile stabilire con certezza quale sia stato il suo apporto al lavoro scientifico di Einstein; Mileva infatti, sposandosi, rinunciò alla sua indipendenza di scienziata e assunse  il ruolo tradizionale di moglie, vivendo all'ombra del marito.

Mileva era molto dotata in  Matematica: a diciotto anni si recò da sola a Zurigo, dove ottenne la maturità, poiché nella sua epoca nell'Impero austro-ungarico le donne non potevano accedere alle scuole superiori. Nel 1896 iniziò lo studio universitario della Matematica e della Fisica presso l'École Politecnique, dove incontrò Einstein. Un aneddoto racconta che lui le prestò i suoi appunti di Fisica e rimase sorpreso quando lei glieli restituì corretti.

Mileva veniva considerata tenace e sistematica, mentre Albert era discontinuo e ricco di idee, ma era noto che avesse delle difficoltà con la Matematica. Egli stesso disse nel 1903: "Ho bisogno di mia moglie. Lei risolve tutti i miei problemi matematici." Dopo la loro separazione Einstein si fece sempre aiutare da esperti ed esperte di Matematica.

Notiamo così un’altra caratteristica comune alle donne matematiche: la determinazione e la costanza nello studio, studio in cui hanno sempre dimostrato pazienza, tenacia, pratica, metodo, calcolo, capacità di assumersi responsabilità e di farsi carico delle cose.

Sono dunque spesso riuscite ad affermarsi proprio grazie a questo lavoro metodico, combattendo contro i pregiudizi ma anche e soprattutto combattendo quotidianamente con i tempi e gli spazi privati, assumendosi sempre le responsabilità che la vita poneva loro davanti: la Herschel era anche la governante della casa del fratello, l’Agnesi si occupava della cura del padre, la Maric si occupò sempre da sola dei figli e, a Zurigo, affrontò seri problemi economici per mantenerli. Uno dei figli, Eduard, si ammalò di schizofrenia e Mileva restò sola a occuparsi di lui durante le sue crisi che si fecero sempre più gravi. Eduard diventò pianista e schizofrenico e si ricorda del fratello Hans Albert la frase “nessuno ha diritto di aspettarsi un'infanzia felice”.

Einstein diede tutto il denaro del premio Nobel alla moglie e qualcuno ritiene che questo fosse il riconoscimento privato alla sua collaborazione. Quel denaro permise a Mileva di sopravvivere e di provvedere alle spese per le cure del figlio che non fu mai in grado di avere una vita autonoma. Dopo quella donazione Einstein si disinteressò completamente dei figli e Mileva se ne fece carico fino alla propria morte, avvenuta a 73 anni.

Proprio per questo appare terribile la spietatezza con cui a 35 anni Albert Einstein descriveva la “zoppa e brutta” moglie all’amante Elsa: E' una creatura ostile, senza senso dell'umorismo, che non riceve niente dalla vita e soffoca la gioia di vivere altrui con la sua sola presenza”. 

Troviamo così un’ultima tristissima caratteristica comune alle matematiche della storia: oltre ai sospetti di non originalità del lavoro svolto, su di esse sono stati dati spesso giudizi sprezzanti, commenti pesanti sulla vita personale e anche sull’aspetto esteriore.

Scrive P. I. Moebius, medico, nipote del celebre matematico [8]: “Si può dunque dire che una donna matematica sia contro natura, in certo senso sia un ermafrodito. È noto che le così dette donne intellettuali sembrano di solito uomini travestiti. Delle donne matematiche, specialmente Sofia Germain ha l'aspetto maschile (anche Maria Gaetana Agnesi!)! La Kovalewsky prova che nella donna difficilmente possano accoppiarsi ingegno e salute. Essa era nervosa in sommo grado e le indisposizioni di cui soffriva la resero precocemente vecchia ed ammalata. La Germain era un'originale di buona specie. La Châtelet, nella sua spudoratezza, rappresenta il più brutto tipo di degenerata. Quella di cui si può dire il maggior bene è forse Carolina Herschel: essa era di natura femminile, sana e virtuosa, e raggiunse un'età assai avanzata. Ma in generale sulla vita delle donne matematiche si conosce troppo poco per poter giudicare quanto vi fosse in esse di patologico. È un'esagerazione il parlare di genio matematico nella donna. Nessuno dubiterà che la Matematica si sarebbe svolta altrettanto felicemente anche se non fossero vissute le donne matematiche, che enumerammo.

 

Emilie du Chatelet

 

Ma non finisce qui. Scrivono Gino Loria e Francesco Severi:

Il Rebière è padrone di affermare che le opere della Marchesa di Chatelet ne difendono la memoria; per noi essa appare poco più di una donna astuta, che la scienza pura volle trasformare in una compiacente bandiera, che coprisse la merce avariata della sua vita intima. Arago può benissimo proclamare, con frase iperbolica, che, «in Geometria essa fu un genio»; ma che cosa avrebbe risposto a chi gli avesse chiesti gli enunciati delle questioni matematiche debitrici alla bella Emilia della loro soluzione?”. (G. Loria)

 “L’Agnesi consacrò tutta se stessa agli studi più astrusi facendo convergere il meglio del suo non volgare intelletto a penetrare sino al midollo di quelle discipline la cui epidermide arida e rugosa tanti atterrisce ed allontana”. (G. Loria)

Figura un po’ scialba (…) la vita tranquilla della pensatrice francese sembra ancora più scolorita se paragonata al romanzo di cui fu protagonista Sofia Kovalewskj”. (G Loria a proposito della Germain)

Chi avrebbe potuto resistere allo splendore di quegli occhi, che pregavano Weierstrass di accoglierla fra i suoi discepoli, allo charme di quella personcina esile, dai capelli corti e ricciuti?” e ancora: “L'accorante spettacolo offerto da questa donna, che natura aveva colmata de' suoi favori e che un lavoro, forse disadatto e certamente eccessivo, rese irritabile e disgraziata”. (F. Severi a proposito della Kovalewskj)

Il paragone di un'esistenza profondamente agitata e cosparsa di speranze infrante, quale è quella di Sofia  Kovalewski, con la vita di tante donne benedette e adorate, le quali nel seno della famiglia, o percorrendo strade meno ardue e pericolose, conseguirono quella pace che ad essa venne perennemente negata e che con tanta parsimonia fu concessa alle donne illustri di cui tratteggiai la biografia, induce a domandarsi se la riga, il compasso e le tavole dei logaritmi non siano per avventura strumenti troppo gravi per braccia femminili”. (F. Severi)

Emmy Noether, donna semplice, posata, dedita alle faccende casalinghe; scarsamente dotata di attrattive femminili; figura piccola e tozza; parola impacciata, disordinata e un po' blesa”.  (F. Severi)

Emmy Noether

 

Solo due donne matematiche nella storia, Sofja Kovalevskaja ed Emmy Noether: la prima non era una matematica, la seconda non era una donna”. (Hermann Weyl, matematico tedesco allievo di Hilbert)

E’ inutile ricordare, inoltre, che tali frasi in genere sono state pronunciate da matematici talvolta di meno valore delle colleghe a cui venivano rivolte.

Alla luce di queste sommarie considerazioni una speranza per il futuro: che per tutte noi e soprattutto per le nostre figlie sia veramente come scrive la Montalcini:

 

Ma i portoni che sbarravano la strada alla liberazione sono oggi spalancati La Scrivente che nei giorni della giovinezza li trovò ancora sprangati, contempla con gioia la lunga fila di donne che oggi incedono in massa su questa strada così rigidamente preclusa loro in passato”. [9]


Note

[1] Sylvain Marechal,  Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere (1801).

[2] Silvio Antoniano, Trattato dell’educazione sociale  politica e cristiana dei figliuoli.

[3] Guidi Baccelli, Ministro della Pubblica Istruzione, Riforma della scuola, 1884.

[4] Di solito si dice che l'intuizione istintiva è la qualità preminente della personalità femminile (ma qui talvolta si confonde la sfera sentimentale con l'intellettiva) mentre l'intelletto maschile è in prevalenza logico e deduttivo

(Francesco Severi su Archimede, 1951).

[5] Gino Loria (1862-1954),  Lettura tenuta nella R. Accademia Virgiliana di Mantova il 28 dicembre 1901; tradotta in francese nella Revue Scientifique del 1904.

[6] Francesco Severi su Archimede, 1951

[7] Gino Loria: “Come, presumibilmente, IPAZIA ebbe per guida il proprio padre che fu uno dei più distinti geometri dell'età sua; come EMILIA DE CHÂTELET subì successivamente l'influenza di VOLTAIRE, di CLAIRAUT e di MAUPERTUIS; così alle Instituzioni analitiche della AGNESI collaborarono il P. RAMPINELLI e JACOPO RICCATI,  e SOFIA GERMAIN fu sorretta ne' suoi studi aritmetici da GAUSS ed in quelli fisico-matematici da LEGENDRE e POISSON; da ultimo, quale e quanta parte non ebbe GUGLIELMO HERSCHEL nell'opera scientifica della sorella CAROLINA?”.

[8] P:I: Moebius, Ueber die Anlage zur Mathematik , Leipzig, 1900.

[9] “Women scientists: the road  to liberation”  intervento di   Rita Levi-Montalcini