L’insegnamento come nobile arte

L’insegnamento come nobile arte

Carlo Bernardini

 1 - Ogni ambiente ha i suoi luoghi comuni. Gli scienziati non fanno eccezione; tutta l’accademia ha una forte inclinazione ad attribuire il massimo del “punteggio” (comunque sia valutato ed espresso) alla ricerca e alle scoperte. Sicché un grande scienziato è chi con le sue scoperte contribuisce a rendere rinomato l’istituto a cui appartiene, grazie ai risultati da lui pubblicati, al conseguente impact factor, al citation index, agli inviti a conferenze mondiali e così via. Niente di male: per lo più la valutazione non è mendace e l’eventuale caratteraccio del “genio” nulla toglie alla sua fama e a quella di chi lo sostiene. Persino – e qui passo a un’opinione strettamente personale ma suffragata da esempi che non farò esplicitamente – se il genio è un cattivo docente. Credo che questo squilibrato luogo comune sia ingiusto e non tenga conto degli interessi sociali di una comunità nel suo complesso: i colleghi contano molto di più degli studenti; per dirla con una battuta di Bruno Touschek, “la concorrenza conta più dei clienti”. E così, ci facciamo privare, dal mercato, di uno dei precetti più importanti della attività pubblica: “i clienti hanno sempre ragione”.

 Perché, nelle valutazioni che si danno nella comunità universitaria il fatto che uno sia un grande maestro per come insegna non conta praticamente nulla, se non nel gossip locale? Eppure, la memoria di ciascuno di noi è sensibile alle qualità didattiche di alcune figure incontrate lungo il percorso in cui si è formato. Io sono (stato) un fisico, e perciò ho incontrato anche alcuni maestri che sono stati grandi ricercatori ma soprattutto docenti assolutamente eccezionali, sia tra fisici che tra matematici. Sono loro che mi hanno convinto del fatto che insegnare è una “nobile arte”, che richiede talento e dedizione; da quell’arte dipende la conservazione e la trasmissione della cultura nelle forme che alimentano la genuina convinzione profonda che ha portato, con la ricerca, alla scoperta. Faccio quattro nomi sopra ogni altro: Enrico Persico, Bruno Touschek, Edoardo Amaldi, tra i fisici; Carlo Cattaneo, tra i matematici. Anticipo alcune notebiog! rafiche succinte.

Enrico Persico (Roma, 9 agosto 1900 – Roma, 17 giugno 1969) è stato un fisico italiano. Assieme a Enrico Fermi e Aldo Pontremoli, vinse il primo concorso per la cattedra di "a"Fisica teorica" in Italia (collocandosi al secondo posto, dopo Fermi e prima di Pontremoli), con il quale gli fu assegnata la cattedra di Firenze. Dopo avere insegnato a Firenze varie discipline (fisica teorica, fisica medica, meccanica razionale, geofisica e fisica matematica), nel 1930 insegnò fisica teorica a Torino, fino al 1947. Dal 1947 al 1950 insegnò all'istituto di fisica di Laval in Quebec, quindi si trasferì a Roma, dove ricoprì le cattedre di Fisica Superiore, e Istituzioni di Fisica Teorica.

Persico

Persico, Salvini e CB


Bruno Touschek (Vienna, 3 febbraio 1921 - Innsbruck,  25 maggio 1978). Madre  ebrea, il che ebbe conseguenze immaginabili, per un “non ariano”, nell’Austria dell’Anschluss: nel 1940, Bruno dovette abbandonare gli studi e trovò però modo di impiegarsi come tecnico elettronico presso privati, prima ad Amburgo e poi a Berlino. La sua occultazione durò poco: nel 1943 le SS lo identificarono ad Amburgo e finì internato. Riuscì a fuggire nel 1945, durante un trasferimento, in condizioni estremamente rocambolesche e rischiando seriamente la pelle. Avendo incontrato, già nel 1943, l’ingegnere norvegese Rolf Wideroe, appassionato ideatore di acceleratori di particelle, si appassionò anche lui al problema dei betatroni e su questo tema finì con il laurearsi poco dopo la cessazione del conflitto mondiale. Dopo una breve permanenza a Gottinga, si trasferì in Inghilterra, a Londra e poi a Glasgow, dove si dedicò alla fisica teorica e all’elettrodinamica quantistica. Nel 1943 aveva incominciato a “rimuginare” (come nelle conversazioni con Wideroe) sulla possibilità di realizzare praticamente collisioni tra fasci di particelle cariche contrapposte, nel centro di massa, in modo da ottimizzare l’energia disponibile per la produzione di stati finali pregiati inaccessibili agli acceleratori tradizionali che operano su bersagli fermi (lo spreco avviene nella conservazione dell’energia cinetica del centro di massa). Questo programma sarà la più importante realizzazione di Touschek nel resto della sua breve vita: Il suo modo di rappresentarsi la realtà microscopica resta, per chi lo ha conosciuto, uno dei punti più alti dell’immaginazione umana guidata da una profonda cultura scientifica.

Edoardo Amaldi (Carpaneto Piacentino, 5 settembre 1908 – Roma, 5 dicembre 1989), membro attivo e costante della Scuola di Roma (i "ragazzi di via Panisperna" di Orso Mario Corbino ed Enrico Fermi) è il solo del glorioso gruppo che sia rimasto in Italia durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, consentendo così la rinascita dell'attività nel nuovo edificio allestito da Giuseppe Pagano nella Città Universitaria, importante esempio di Laboratorio moderno. La versatilità di Edoardo Amaldi resta proverbiale: tutti i filoni di ricerca della Fisica, non solo romana, hanno avuto un input nelle sue sollecitazioni; e così la scelta dei talenti migliori per coltivarli. Non a caso, noi superstiti parliamo di Amaldi come de "il babbo", con scherzoso affetto e gratitudine. Edoardo Amaldi si è sempre preoccupato della gestione dei corsi istituzionali iniziali, le "Fisiche sperimentali 1 e 2", rivolti ai giovani fisici appena immatricolati ma anche agli studenti di matematica  e di ingegneria: è ricordato, perciò, come un grande Maestro da molti ricercatori e professionisti italiani ma anche stranieri; che lo conoscono non solo per le sue qualità di scienziato e docente ma anche per la presenza, spesso l'ideazione e la conduzione, di strutture di ricerca nazionali e internazionali, come l'INFN, il CNEN, l'EURATOM, il CERN, l'ASI e l'ESA. Nonché per i prestigiosi ruoli come la Presidenza dell'Accademia Nazionale dei Lincei e l'appartenenza ad altre Società straniere di primo rango.

Carlo Cattaneo (San Giorgio Piacentino, 31 ottobre 1911 – Roma, 7 marzo 1979) è stato un matematico italiano. È stato uno dei personaggi di spicco dell'ambiente accademico matematico italiano negli anni sessanta e settanta.I suoi lavori di ricerca più noti riguardano la Meccanica dei fluidi e la Teoria della Relatività. È stato autore di testi didattici introduttivi alla Meccanica razionale, Meccanica dei fluidi, e Teoria della Relatività ristretta. L'ampia diffusione dei testi di Cattaneo ha coinvolto numerosi Corsi di Laurea (Matematica, Fisica, Ingegneria), e lo ha reso uno degli autori di testi universitari più noti nell'ambito della Fisica Matematica in tutta Italia.Dal 1972 al ! 1976 è stato vicepresidente del Comitato Nazionale della Matematica del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Tra i riconoscimenti ricevuti, l'elezione a membro dell'International Committee on General Relativity nel 1962, e la laurea honoris causa all'Università di Lille. È stato membro dell'Accademia dei Lincei. Di Cattaneo non parlerò: è stato un incontro tardo e me ne rammarico; perché già quel poco di dimestichezza che avevo con lui aveva risvegliato la mia incondizionata ammirazione anche per le sue qualità didattiche.

 2 – Parliamo di come si inverava la nobiltà dell’arte. Proprio come negli stili fortemente personalizzati delle arti classiche, ciascuno di questi maestri aveva il suo inimitabile (benché suggestivo) personalissimo stile. Naturalmente parlo solo del modestissimo campione dei “miei” maestri, per “trattamento ricevuto in corpore vili”; ma conosco molte leggende su altri, non solo italiani. Per esempio, Edoardo Amaldi raccontava della straordinaria abilità di Enrico Fermi di risolvere problemi ad alta voce, in pubblico e su proposta di qualcun altro: la cosa può accadere durante un seminario e destare vero sbalordimento (anche se Valentine Telegdi avvertiva: “guai a contraddirlo! Si scatena una ritorsione sicura” (a proposito di caratteracci). Non a caso nella “gerarchia ecclesiastica” della Scuola Romana Fermi era chiamato “il Papa” per via dell’infallibilità.

Un altro caso riguarda il matematico Sandro Faedo che di un collega docente diceva senza fare nomi. “E’ così bravo che riesce a spiegare anche cose che non sa”.

Emilio Segrè raccontava che Tullio Levi Civita, colpito da una incauta freccetta lanciata da uno studente un po’ screanzato mentre scriveva (“appeso al gesso”: era di bassa statura) si voltasse dalla lavagna chiedendo umilmente: “Ho sbagliato qualcosa?”; e si era guadagnato eterno rispetto. E così via.

Le lezioni di Persico mi avevano affascinato, ma arrivò che io ero appena laureato (nel 1952) e ebbi solo modo di seguire le sue lezioni sugli acceleratori nella scuola di perfezionamento . Vero che avevamo avuto un incontro occasionale a Trieste, durante un congresso SIF prendendoci cura di un gatto randagio sotto San Giusto, ma solo come “gattari” e senza sapere di essere un pedone e un re della stessa banda. Persico mi affascinò perché spiegava in modo chiaro, riempiva le lavagne con cura, trattava la matematica dando spazio all’intuizione, dalle sue parole trapelavano altri interessi dosati con moderazione ma non celati. Frequentandolo, ebbi modo di apprezzare il rispetto di cui godeva; lo vidi insieme a colleghi illustrissimi: Franco Rasetti, Ugo Fano, Francesco Tricomi, persone non universalmente disponibili che però, con lui, andavano in gita. Aveva uno spirito molto classico e pungente: si favoleggiava delle sue controversie con l’ottico fiorentino Vasco Ronchi che era molto disturbato dalle novità della Meccanica atomica, di cui Persico era uno dei primi “importatori” nell’Università italiana, tanto da guadagnarsi, nella gerarchia romana, il posto di “Cardinale di Propaganda Fide”. Pensando a Ronchi, scrisse e fece girare questi versi di Padre Enrico:

Narra poscia ch'oltre i monti/ Vivon popoli fedel/ Che del ver le sacre fonti/ Ricevuto hanno dal ciel./ Essi han d'h il sacro culto/ Han nei quanti piena fé/ E per loro è grave insulto/ Dir che l'atomo non c'è. Sono pur bestemmie orrende il negar che c'è la psi,/ Che un valor non nullo prende delta q per delta p,/ Che dell'orbite ai momenti/ S'addizionano gli spin/ E elettroni equivalenti/ Son vietati dal destin./ Credon poi, con fé profonda/ Cui s'inchina la ragion/ Che la luce è corpo e onda/ Onda e corpo è l'elettron.

 

amaldi

Amaldi, Rasetti e Segrè

 

 3 - Nel lontano 1947, anno in cui misi piede all'Università, a Roma, provenendo da Lecce, città di giuristi e letterati, mi iscrissi a matematica, per convertirmi subito a fisica dopo l'assaggio delle prime lezioni, particolarmente quelle di Gilberto Bernardini (di cui non sono parente). Come studente di fisica, fui chiamato a conferire con Mario Ageno a cui erano affidate le matricole. Tutto era organizzato con meticolosa cura: eravamo una dozzina e il debutto doveva trasformarsi in adozione se mai qualcuno di noi avesse dimostrato di meritarlo. Ageno faceva il massimo del terrorismo ammissibile: lavorare dodici ore al giorno, essere assidui, imparare l'uso della biblioteca, non perdersi in stupidaggini e seguire il cosiddetto "pedagogato", un corso libero supplementare affidato a un giovane assistente laureato da poco. Il primo, per quell'anno, fu un geofisico della squadra di Enrico Medi, tal Molina, mite e cortese; che durò poco e fu ben presto rimpiazza! to da Ruggero Querzoli, detto Bibi, un allievo di Ettore Pancini. Querzoli era molto intelligente e sosteneva bene l'impatto di dodici più o meno secchioni che si divertivano fabbricare problemi di difficile soluzione. Poi però ci lasciò e fu sostituito da Gherardo Stoppini, uno della squadra degli "elettronici" che Amaldi aveva coltivato (Lepri, Rispoli, Mezzetti, Fidecaro, Sciuti) in concorrenza con i "lastrai" (che lavoravano con emulsioni fotografiche: Baroni, Castagnoli, Cortini, Conforto, Manfredini). L'elettronica, a valvole, era quella realizzata in casa con il materiale recuperato nei campi ARAR dell'esercito americano nelle campagne vicino a Pisa; le emulsioni fotografiche erano i famosi G-stack forniti dal produttore inglese Ilford per l'osservazione di tracce di raggi cosmici lanciati con palloni stratosferici e recuperati in mare grazie a un debole segnale radio dal punto di caduta dopo il volo iniziato a Trapani Milo. Noi studenti eravamo informati co! me gli altri, le porte erano aperte e accessibili a chiunque fosse curioso. Fu una scuola di prodigiosa efficacia, l'Istituto "G. Marconi" era una grande fattoria a gestione familiare; non un palazzo di impiegati ministeriali ma una compagine di "coltivatori diretti" molto cooperativi e solidali.

Più formali i matematici, Mauro Picone, sordo come una campana, per l'Analisi; Aldo Ghizzetti, incantevole, per l'Algebra; Fabio Conforto, rigoroso e compassato, per la Geometria. Per la Meccanica Razionale ci aspettava Antonio Signorini un po' demodé, sicché ci sentivamo spinti a sentire il favoloso Carlo Cattaneo, una autorità per i problemi dello spazio-tempo einsteiniano (ma non sempre gli orari erano compatibili).

Due occasioni importantissime di crescita furono: le lezioni di Fisica Teorica di Bruno Ferretti e quelle di Fisica Nucleare di Edoardo Amaldi. Ferretti seguì un tracciato di "evoluzione storica" che partiva da Wien, Planck e il corpo nero, poi la meccanica analitica e gli invarianti adiabatici alla maniera di Levi Civita, poi le regole di Bohr e Sommerfeld. Più difficile era il corso di Fisica Nucleare di Amaldi; anche se l'essenziale era di straordinaria qualità didattica: la formula delle masse di Weizsaecker e la sua discussione. C'era poi un corso di ottica di un assistente di Antonino LoSurdo e un corso di Spettroscopia tenuto da Gilberto Bernardini; nonché una Meccanica Superiore di Antonio Signorini che dava rudimenti su cose complicate come le onde d'urto. Ma la cosa che devo assolutamente ricordare è che eravamo sollecitati a leggere libri che erano già entrati o stavano entrando nella storia della fisica, sicché potevamo anche ben dirci autodidatti con supporto esterno. Era tassativo avere letto Atombau und Spektrallinien di Arnold Sommerfeld, Quantum Mechanics di Paul Dirac, Theoretsche Physik di Georg Joos, Quantum Electrodynamics di Walter Heitler, naturalmente il testo di Persico di Fondamenti della Meccanica Atomica, uno dei pochi in italiano insieme con Molecole e cristalli di Enrico Fermi e Il nucleo atomico di Franco Rasetti. Se continuassi, verrebbe fuori un catalogo da biblioteca, quella ormai mia personale perché la maggiore spesa dei miei vent'anni sono indubbiamente stati i libri di fisica. Oggi, ho invaso la mia casa e sono felice di constatare che molti sono ancora i manuali "freschi" e utili a studenti che volessero usarli a 60 anni e più di distanza da allora. La grandezza di Persico, Fermi, Amaldi nella nobile arte di insegnare si vede anche in questo: sentivano la necessità dello scrivere chiaro perché i loro allievi capissero; necessità che sembra sempre meno impellente, non so se per degenerazione dei docenti o degli editori.

 4 - Se Amaldi e Persico sono due esempi di straordinaria autorevolezza che mettevano a tutti la spontanea preoccupazione di lasciarsi scappare una involontaria sciocchezza e di essere perciò giudicati sciocchi, la dimestichezza con Bruno Touschek portava a una ben più grave preoccupazione: quella di provocare una sonora risata accompagnata da una battuta che poi sarebbe rimasta addosso al malcapitato come una macchia indelebile. Bruno era di scuola austriaca e, imbattersi in lui, era come assaporare l'amicizia di Karl Kraus. Il sarcasmo ha una doppia funzione: permette di scegliere gli amici tra le persone che lo capiscono e ne ridono; ma permette anche di identificare chi non vale la pena di stimare perché non ne capisce il senso. Bruno non sapeva trattenersi dall'inventare l'ironia più pungente né di fronte a un guru accademico né di fronte a un gruppo di sessantottini scalmanati. Tuttavia, rivolgeva il suo massimo e devoto rispetto ad Edoardo Amaldi perc! hé riconosceva in lui una eccezionale capacità di intervenire sulla realtà. Nel fare lezione, poi, il suo linguaggio raggiungeva il più letterale livello "pittoresco", sia perchè usava un ibrido austro-anglo-italiano con assonanze esilaranti xhe perché la sua lavagna si riempiva di disegni che valeva la pena di fotografare. Era un grande disegnatore e il nostro dipartimento, ancora oggi, è pieno di gigantografie che tutti conoscono di suoi disegni degli anni 50-70. Come docente, lo incontrai già laureato mentre seguivo la scuola di perfezionamento: i suoi corsi riguardavano le interazioni deboli e la meccanica statistica. Lavorava con Matthew Sands di CalTech, con Georg Lueders (allievo di Pauli), con Luigi Radicati, Gisacomo Morpurgo e Marcello Cini. Nelle sue carte si vede ancora quanto fosse andato vicino a risultati travolgenti come la non conservazione della parità e l'interazione V - A delle correnti deboli. Ma la sua grande passione, quasi ! dedizione totale, era per l'elettrodinamica quantistica, la catastrofe infrarossa e il metodo di Bloch e Nordsieck. Il suo lavoro con Giulia Pancheri e Etim Etim sulle correzioni radiative resta una pietra miliare della QED osservata con acceleratori di elettroni (siccome un esponente caratteristico dello spettro di fotoni molli risultava il numero puro 0,07, Bruno lo aveva battezzato "Bond factor" in onore dell'agente segreto James Bond, in codice 007). Incominciai a lavorare con Bruno a Frascati; poi lo accompagnai per il resto della sua breve vita nell'avventura con gli anelli di accumulazione. Dal 1955 al 1978 furono per me anni di emozioni quotidiane: in ogni conversazione con Bruno si imparava qualcosa di nuovo, sia di fisica che di storia del mondo. Ma ero già felice facendogli da "interprete" con gente non assuefatta alle sue metafore e allitterazioni. Come professore, era insuperabile per la chiarezza del suo linguaggio metaforico, che consentiva rappresentazioni  mentali comprensibili anche a studenti molto giovani e non addestrati!  ai linguaggi formali. Durante il lavoro con AdA avevamo una idea estremamente concreta di ciò che c'era e avveniva all'interno della camera a vuoto, il che ci permise di interpretare in poche ore "l'effetto Touschek" durante le prove di carica a Orsay, ragionando sulle figure che Bruno aveva disegnato sulla tovaglia di carta del Café de la Gare davanti a un bicchiere di Rosé sec, alle quattro del mattino. Così, immaginando la geometria dei beams sulla base dei nostri calcoli, avevamo escogitato la misura di "luniminosità" che dimostrava che elettroni e positroni si incontravano come previsto e che gli anelli "si potevano fare"; ma l'anello maggiore Adone, circa 100 volte più ingombrante, era già in costruzione da un anno: Bruno aveva convinto tutti proclamando che il teorema CPT poteva bastare come rassicurazione (e toccava a me e pochi altri spiegare cosa voleva dire). Insomma, con Touschek si apriva un'era nuova: dalla ricerca organizzata nei minimi ! dettagli si passava all'avventura scientifica. E non erano le sorprese a mancare!

 5 - Non voglio certo concludere con un fervorino; ma non voglio tacere che un buon ricercatore non è necessariamente un buon professore. La didattica deve essere rivalutata: in fondo, se la cultura mondiale si sviluppa è perché la cinghia di trasmissione funziona. Nessuno può reinventare ab ovo la scienza moderna; ma il modo di trasmetterla alle nuove generazioni è parte di un talento poco valutato e quindi poco coltivato. Bisogna assolutamente fare qualcosa: per di più se, come ho detto, non è assicurato che un buon ricercatore sia un buon didatta, spesso è vero che un buon didatta sia o diventi un buon ricercatore. Perché, a ben guardare, in entrambi i casi conta, sì, la capacità di pensare razionalmente ma forse ancora di più conta l'immaginazione fondata sul realismo, la fenomenologia onesta. E' quasi un precetto etico che protegge il linguaggio della scienza: non cercare giustificazioni fantasiosamente plausibili delle proprie opinion! i, ma cercare strutture logiche verificabili al banco della realtà. Ce lo disse Galilei tanto tempo fa, se ancora insistiamo solo per "aver ragione" anziché per "capire" resteremo al palo dell'ignoranza suggestionabile. Per questo, ho un debito enorme con i miei Maestri e sono felice di ricordarli per ciò che mi hanno dato.