7. Conclusioni

A mio parere talvolta è accaduto nella Matematica greca, in forma prevalentemente implicita, quello che è avvenuto, questa volta esplicitamente, a seguito del rapporto tra Cavalieri e Galileo proprio sui problemi che abbiamo visto. Cavalieri si era trovato in difficoltà nel giustificare a se stesso e agli altri in che cosa consistessero i suoi indivisibili – se contigui, infiniti in atto o in potenza – appellandosi ai numerosi risultati che era riuscito a ritrovare ed anche a quelli nuovi.

Non si può in questo lavoro neppure accennare alla nascita sempre più consapevole dell’infinito in atto che, prima e dopo Cavalieri, molti matematici stavano precisando [47]. Osserviamo solo che egli si era invano rivolto più volte a Galileo per avere conforto sul suo Metodo. Tuttavia Galileo rispose, anche se indirettamente, alle richieste di Cavalieri con un bellissimo passo dei suoi Discorsi e dimostrazioni matematiche (Giornata prima). Dopo aver accennato a divisibili ed indivisibili, scrive: “Non so adesso, Sig. Simplicio, se i Signori Peripatetici a i quali io ammetto, come verissimo concetto, il continuo essere divisibile in sempre divisibili, sì che continuando una tale divisione e suddivisione mai non si perverrebbe alla fine, si contenteranno di concedere a me, niuna delle tali loro divisioni essere l’ultima, come veramente non è, poiché sempre ve ne resta un’altra, ma bene l’ultima ed altissima essere quella che lo risolve in infiniti indivisibili, alla quale concedo che non si perverrebbe mai dividendo successivamente in maggiore o minore moltitudine di parti; ma servendosi nella maniera che propongo io, di distinguere e risolvere tutta la infinità in un tratto solo (artificio che non mi dovrebbe essere negato), crederei che dovessero quietarsi, ed ammettere questa composizione del continuo di atomi assolutamente indivisibili” [48]. Ed è proprio in questa “altissima”, “ultima”, divisione da ottenersi “in un tratto solo”, che potrebbe vedersi quello che i matematici greci, compreso il filosofo Aristotele, hanno forse sentito: un infinito in atto anche in un semplice segmento e nei suoi punti (indivisibili), tale da superare e completare quello potenziale. “Però il numero” scrive Dante (Convivio T. II, XIII) “quant’è in sé considerato, è infinito e questo non potremo intendere”. Una sensazione, una vertigine, direbbe Omar Khayyam.