3. Ispiratore della spazio europeo della ricerca

Con la fine anticipata della X legislatura Ruberti cessò dal mandato ministeriale, pur essendo rieletto alla Camera. Si dimise però nel gennaio 1993 per andare a ricoprire il ruolo di commissario per la ricerca nella Commissione europea presieduta da Jacques Delors. Benché il suo mandato sia durato appena due anni, vi è unanime consenso sulla progettualità di lungo periodo che Ruberti seppe esprimere e che fu riconosciuta e fatta propria dal suo successore Philippe Busquin che lo ha in molte occasioni ricordato come ispiratore dello spazio europeo della ricerca alla cui costruzione ha dato un contributo fondamentale di idee.

Rientrato in Italia a gennaio del 1995, Ruberti rimase in panchina per un breve periodo, per tornare alla Camera nella XIII legislatura con la coalizione di centrosinistra. Qui si occupò delle politiche europee dell’Italia come presidente della XIV commissione permanente, dal 1996 fino alla morte. Anche in questa veste il suo interesse per la politica della ricerca e della formazione, ritenuto aspetto qualificante della costruzione europea, continuò ininterrotto e Ruberti rimase la guida di un gruppo politicamente trasversale di uomini di scienza e di amministrazione che si riconosceva nel suo progetto.

Antonio Ruberti si trovò a operare in un contesto difficile, sia sul piano della politica generale, sia sul piano specifico della politica scientifica: fu lui a farsi carico più di ogni altro, a partire dalla fine degli anni Settanta, della situazione di grave crisi in cui versava il sistema della ricerca, stretto fra la paralisi normativa, la scarsità di risorse economiche e le tensioni al proprio interno, spesso accompagnate da relazioni politiche pericolose. In un simile panorama, svolse un ruolo paragonabile a quello che in altre fasi hanno avuto i grandi protagonisti della politica scientifica italiana raccogliendo il testimone da uomini come Amaldi, Ippolito, Marotta e Caglioti. A dieci anni dalla sua scomparsa si può dire senza timore che gli storici dovranno cominciare a occuparsi di lui se vorranno mettersi in condizione di ricostruire e interpretare il sistema della ricerca italiano in una delle sue fasi più difficili.